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1981 – Roberto Sanesi

Nella variata tendenza delle immagini di Vasconi ad affollarsi, a sovrapporsi, e a ricercare poi, nella torsione plastica degli elementi smembrati e ricomposti secondo linee metamorfiche di intensa e coloristicamente assai accesa proiezione di tipo simbolico, un nodo, un fulcro, nel quale accentrare e quindi dirottare << altrove >> quell’energia che risulta essere il vero e proprio tema dominante di una pittura (di una scultura) le cui origini devono essere rintracciate in una acquisizione alquanto personale dei moduli stilistici boccioniani, piu d’una volta ho voluto sottolineare come mi sembrassero piu convincenti le soluzioni dettate da una maggiore liberta da ogni pregiudizio rappresentativo. Quelle cioè nelle quali, non per eccesso di tentazione astrattizzante ma per rispetto della ricerca linguistica, all'<< oggetto >> che sempre costituisce per Vasconi l’inevitabile punto di riferimento concreto dell’osservazione (e si tratta di un tipo di osservazione multipla, analitica, tale da porsi nello stesso tempo come verifica, o ritorno all’oggetto attraverso una serie di proiezioni) si viene a sostituire la << realtà >>, autonoma perché ambigua, e quindi offerta sempre e di nuovo alla lettura, del risultato pittorico. Ora, nella serie di quadri, disegni e sculture che si presentano in questa pubblicazione l’atteggiamento di Vasconi nei confronti di un tema tutt’altro che nuovo nella sua pittura sembra contraddire vistosamente il percorso di spoliazione appena accennato. Lo schema figurale si ricompone. Rispetto ad opere precedenti la trama si allarga. In alcuni casi il disegno prende il sopravvento sul colore, e quel gioco di mimesi che sgretolando ogni immagine parziale giungeva alla composizione di un’unità mobile, a una sorta di scambio mai bloccato fra gli oggetti e il luogo degli oggetti, lo spazio, che si faceva a sua volta oggetto, un continuum di forze, appare come allentato. Ma vorrei che non sorgessero equivoci; cosa possibile e ragionevole se non si tiene conto del fatto che in questa oscillazione fra abbandono totale, squisitamente << pittorico >>, agli impulsi di un’emozione sospinta a vorticose soluzioni visionarie, e volontà costante di un controllo che consenta alla narrazione, pur stravolta se non negata, di esprimersi secondo un principio di verità il piu ampiamente accettabile, è intervenuta nel frattempo un’esigenza (già avvertibile in passato) di risolvere in vera e propria scultura il problema così profondamente sentito del dinamismo delle forme e della loro plasticità. I1 che, ovviamente, impone una maggiore definizione dell’immagine—che acquista peso, struttura, compattezza, anche se sarebbe improprio affermare che Vasconi, per resistenza della materia, abbia rinunciato (nella pittura come conseguenza dell’esercizio scultoreo) a quei collegamenti con lo spazio, con la natura circostante, che gli hanno sempre consentito di esprimere un evidente coinvolgimento panico. Isolata da ogni altra immagine la << figura >> cavallo, già di per sé così ricca di implicazioni simboliche oltre che formalmente fra le più adatte a convogliare visivamente, fisicamente, quel senso di energia trattenuta, e pronta a esplodere, che è appunto il tema reale della pittura di Vasconi qualunque sia il soggetto che l’artista volta a volta sceglie per comunicarlo, era inevitabile che tendesse ad emergere con prepotenza descrittiva. Non che nelle intenzioni non si tratti, ancora, di un tentativo di convogliare una metafora di vitalismo—tant’è vero che anche in alcune delle opere più recenti le linee di forza mostrano di convergere (per poi divergere, sfaccettandosi, verso i limiti del quadro e, idealmente, oltre) in un punto preciso, per addensarsi quasi sempre al centro; né si può dire che nella ricerca di una maggiore chiarezza delle masse, di una più esplicita riconoscibilità del soggetto sia andata perduta la connotazione fantastica, l’inquieta riverberazione di tipo

<< espressionistico >> di una imagery che appare quasi sempre, e tuttora, come accerchiata dallo sguardo dell’artista—ché anzi, soprattutto nei disegni (dove la struttura compositiva e rilevata dall’incisività del tratto) e nelle sculture (dove la materia, opponendosi, mostra più profondamente gli sforzi dello scavo), I’implicita drammaticità di tante opere di Vasconi viene qui messa in luce come tematica fondamentale. Rispetto alle risoluzioni precedenti ciò che è cambiato e forse solo il punto di vista, che se prima tratteneva il soggetto a distanza (dallo spettatore come dagli spazi di natura che gli facevano da quinta) e più volentieri caso mai lo spingeva contro lo spazio quasi teatralmente predisposto da una sapiente regia allo scopo di tradurre il tutto in una frenetica accumulazione, ora tende invece a portare il soggetto in primo piano. E’ in questa operazione di avvicinamento, che ottiene l’effetto di immettere chi osserva nel soggetto prescelto, se in qualche esempio privilegia il particolare mettendo in rilievo la forza dei gesti e, insieme a una più analitica qualità descrittiva, lo stesso congegno compositivo, il modo insomma con il quale l’artista ricostruisce quei misteriosi rapporti di forze contrastanti, non per questo priva il tema della sua ragione simbolica di fondo, che nel caso specifico dei cavalli è ovviamente solare. In alcuni casi più drammatica, in altri più lirica — e sottolineando la concretezza, la riconoscibilità. Il tema, così esposto, rispetto alle prove precedenti muta segno, e oggetto e significato coincidono, stilisticamente pacificati. Non per caso, nell’osservare alcune delle ultime immagini di Vasconi, mi tornavano alla mente alcuni limpidi versi di Alceo nella splendida traduzione quasimodiana, dove la figura, ferma, assorta, << spicca / come, in mezzo all’armento / che pascola, un cavallo / dal piede sonante, uso a vincere, / veloce più dei sogni… >>.

31 ottobre 1981

ROBERTO SANESI

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