1975 – Roberto Sanesi
Rivedo, a distanza di due anni da un primo intervento critico, le opere di Franco Vasconi – quelle di allora, e le più recenti. Le origini lombarde frenate in una strutturazione limpida, l’accostamento a posizioni nelle quali giunge ad assumere valore di fondamento una ricerca plastico-dinamica con vaghe risonanze cubo-futuriste (naturalmente stravolte), la fuga dai compiacimenti tonali a favore di un’accentuazione della presenza figurativa ma senza cedimenti (nel complesso) all’ovvietà della descrizione, la componente visionaria che non rinuncia tuttavia a un dato concreto, reale, spesso perfino implicato in allusioni di cronaca non estranea a prese di posizione dichiaratamente ideologiche. Elementi che nella pittura di Vasconi restano, infatti, segno di una matura certezza della propria personalità espressiva. Avevo già notato come mi sembrassero più convincenti, in questo contesto, quei risultati in cui meno insistita, o pregiudiziale, fosse la preoccupazione narrativa per figure, ovvero una non richiesta per quanto pertinente “riconoscibilità”. Di fronte ad alcune delle opere più recenti,mentre confermo la prima sensazione, devo rendere atto che Vasconi, pur non rinunciando ad un impianto che si potrebbe definire “classico” (anche l’esperienza dell’affresco vi ha un peso)per la compattezza dei gruppi e per certe reminiscenze appena accennate (una torsione baroccheggiante, una dimensione “profetica”, ecc, si è spinto più avanti nel tentativo di sostenere con la stessa solidità immagini tali da offrire – nella tematica delle sue apparizioni d’ambigua natura, fra realismo e allusione – una versione ancora più libera e fantastica di quelle “condizioni”, “evasioni”, “incontri”, “presenze”, ecc. che costituiscono il teatro della sua ricerca. Teatro in senso lato ( a parte un’opera che porta appunto questo titolo) , dove protagonisti sono indifferentemente gli attori e gli spettatori , perfino fisicamente sovrapposti , e dove il soggetto rappresentato non è solo quello annunciato dai titoli, che rispecchierebbe un ‘intenzione chiusa,definita, ma l’accumulazione delle varie componenti di una “trama” variabile, del tutto generica, puramente indicativa di un clima, il cui risultato ( la cui unica verità) è un gioco di forme fortemente dinamicizzate. In Vasconi ogni elemento figurale assume peso, dimensione plastica, denota la propria origine , e nello stesso tempo si sfalda, si scompone, si “astrattizza” in fate morgane di panneggi, viluppi, volute, trasparenze. Una pittura ingannevole, di difficile definizione, tenuta tra l’uno e l’altro versante del vero e del falso, concreta e sfuggente. Ma è proprio questa sua apparente indecisione linguistica a rivelare l’avvenuta costituzione di un linguaggio, è questo scambio di composizioni, scomposizioni e ricomposizioni contemporanee a determinarne la personalità, soprattutto ora che certe preoccupazioni di racconto troppo scoperto, legato ad una sola dimensione di leggibilità, sono cadute a vantaggio di una rappresentazione più intensa delle strutture. Il simbolo, che resta un dato di fondo del metodo espressivo di Vasconi, acquista più segrete risonanze, così come la luce, che prima delimitava o disegnava le masse per accentuarne l’autonomia da quello che avrebbe potuto essere definito il luogo degli avvenimenti, torna ad entrare nel meccanismo in modo diretto, essendone ormai componente essenziale.
Roberto Sanesi -1975